ARTICOLI SULLA VITA E LA STORIA DEL POPOLO EBRAICO

lunedì 12 aprile 2010

EBREI MESSIANICI

A proposito di «ebrei messianici»
Elena Lea Bartolini De Angeli
E’ possibile che, visitando la Città vecchia a Gerusalemme nei pressi della porta di Jaffa, o recandosi ad Ein Karem, si senta parlare di comunità di «ebrei messianici» che in quei luoghi – e non solo – hanno la loro sede, o può succedere comunque di sentirli nominare non necessariamente in riferimento a Gerusalemme. Ma chi sono? «Ebrei cristiani»? O qualcos’altro?

Il fenomeno non nasce in Terra di Israele ma vi arriva con la ‘alijiah, il «ritorno» verso la Terra dei padri. Il contesto originario va ricercato in Occidente nel movimento Jesus-believing Jews (Jbj) che si rifà agli ebrei credenti in Gesù del primo secolo. Non a caso cercano di individuare un possibile legame con la primitiva comunità giudeo-cristiana di Gerusalemme, idea che affermano con forza a Londra durante l’International Hebrew Christian Conference del 1925, alla quale partecipano delegati di 22 nazioni. È in quest’ambito che, progressivamente e fra alterne vicende, si sviluppa l’attuale movimento dei Messianic Jews (ebrei messianici).

Gli studiosi del fenomeno tuttavia, individuano come uno dei più influenti predecessori di tutto questo Joseph Rabinowitz, nato in una famiglia chassidica della Russia, che giunse alla fede in Gesù durante un viaggio in Palestina nell’estate del 1882. L’originalità di Rabinowtiz e del movimento da lui fondato («Israeliti della nuova alleanza») sta nell’insistenza ostinata con cui affermò che la sua fede in Gesù non aveva fatto di lui un ex-ebreo, anche se aveva deciso di farsi battezzare come segno di appartenenza all’universale Chiesa di Cristo senza per questo diventare un membro di una particolare denominazione cristiana della gentilità e senza abbandonare la sua identità ebraica.

Fin dall’inizio contraddistinti da correnti diverse, e variamente influenzati dalla Haskalah, «l’emancipazione» ebraica, i Messianic Jews si delineano sempre di più come coloro che hanno deciso di credere in Gesù di Nazaret come Figlio di Dio e Redentore. Sul contenuto dell’espressione «Figlio di Dio» non c’è uniformità: c’è chi lo comprende soltanto in termini umani escludendone la divinità, e c’è chi invece cerca di giustificare la sua origine divina riconducendola alla Qabbalah – la mistica ebraica – o al concetto di Shekhinah, «presenza di Dio», escludendo quindi qualsiasi riferimento ai Simboli cristiani da Nicea in poi. Si dividono anche sull’adesione o meno alla tradizione orale ebraica: c’è chi riconosce solo la Torah (Pentateuco) scritta. Sostanzialmente comunque osservano i precetti e celebrano il Sabato, qualche gruppo celebra anche la Domenica con modalità proprie, la festa principale rimane la Pasqua, sia come Pasqua ebraica che come «memoriale» di Gesù. Tutto ciò nell’attesa del suo ritorno, quindi come «messia» che non ha ancora concluso la sua opera, che deve realizzare i «tempi messianici definitivi» che ogni ebreo attende.

Il problema di fondo è come mostrare la propria identità di fronte alla Sinagoga e alla Chiesa: per il momento i rapporti restano difficili, il rabbinato – e le correnti religiose ortodosse – non vedono bene il fenomeno, e le diverse confessioni cristiane – alle quali ogni tanto qualche gruppo tenta di collegarsi – hanno comprensibili difficoltà ad integrarli al loro interno. C’è comunque chi ritiene che gli ebrei messianici contribuiscano a riaprire in maniera significativa la riflessione sulla fine del giudeo-cristianesimo che ha privato di fatto la Chiesa cristiana del legame diretto con la sua radice ebraica.




http://www.bibbiablog.com/2010/04/11/a-proposito-di-%c2%abebrei-messianici%c2%bb/

sabato 10 aprile 2010

Israele: molte denunce al telefono per vittime di pedofilia nelle scuole dei rabbini

Israele: molte denunce al telefono per vittime di pedofilia nelle scuole dei rabbini
10 03 2010
GERUSALEMME (1 aprile) – Una organizzazione non governativa israeliana che da anni si occupa di violenze domestiche, su donne e minorenni, denuncia casi di pedofilia anche nella realtà delle scuole rabbiniche (yeshivot).

I volontari della Association of Rape Crisis Centers in Israel (ARCCI www.1202.org.il)
hanno creato una linea telefonica d’aiuto ad hoc, destinata proprio alle vittime dei collegi religiosi ebraici. L’iniziativa si rivolge a ragazzi e giovani immersi nel mondo a parte delle comunità ortodosse e ultraortodosse. Ma non solo a loro, come dimostra il caso recente di un influente rabbino di Gerusalemme (estraneo a correnti radicali) costretto a lasciare l’insegnamento e autoconfinarsi in provincia dall’inedito bando di un sinedrio di confratelli dopo essere stato accusato di «comportamenti impropri» verso alcuni discepoli. Uno dei pochi episodi emersi dall’interno, si osserva all’Aecci, le cui linee telefoniche hanno cominciato a raccogliere in misura sempre più consistente denunce di abusi, maltrattamenti e vere e proprie molestie sessuali commesse nelle yeshivot, nei bagni rituali e qualche volta addirittura in sinagoga, ad opera di rabbini o docenti.

Un fenomeno minoritario, certo, come in tutte le realtà – religiose e laiche – infettate dalla piaga, sottolineano i responsabili dell’associazione. Ma non per questo irrilevante, se si pensa che gli sos di voci maschili giunti all’Arcci sono stimati quasi pari a quelli delle vittime femminili.

L’associazione, che conta nove strutture in giro per il Paese, si propone di rompere un muro di silenzio tuttora spesso, come testimonia il fatto che in questo contesto l’iniziativa d’aiuto è nata al di fuori delle istituzioni religiose. Il primo passo, il più difficile, è denunciare, visto che – notano gli operatori – «i giovani religiosi usano persino parole diverse dai loro coetanei e hanno una soglia del pudore molto alta, un’educazione secondo cui certi termini non si dicono e basta». Per questo, poco più di cinque anni fa, l’ong ha messo a punto un numero di emergenza specifico, curato da centralinisti osservanti, per haredim (gli ebrei ortodossi, spesso ai margini delle leggi laiche d’Israele) e allievi di collegi religiosi in genere. «Ogni anno riceviamo tra 500 e 600 chiamate – racconta all’Ansa Akiva, uno dei volontari -, per lo più sono teenager, ma non soltanto. Telefonano anche uomini adulti, o magari anziani, abusati anni fa e che ora cercano un modo per affrontare il vecchio trauma».

«Circa l’80% dei ragazzi molestati non denuncia comunque l’aggressore», aggiunge. Mentre, insolitamente, «l’incidenza degli abusi (raccolti dall’Arcci) risulta pressoché uguale fra maschi e femmine». Il sospetto è del resto che si tratti solo della punta dell’iceberg. «Molti dei ragazzi che accettano di venire allo scoperto scappano dalla loro comunit… – riprende Akiva – perchè si sentono alienati. Ma il mondo ‘esternò resta poi inospitale per loro: ha codici, usi e costumi ignoti». Di positivo c’è che un volta denunciata la molestia gran parte del lavoro è fatta, poichè «nell’ebraismo non esiste un’autorità centrale paragonabile al Vaticano in grado di riassegnare ad altre comunità un rabbino o insegnante di yeshiva riconosciuto colpevole». Di negativo c’è però che le denunce, qui, sembrano restare un’eccezione.

Fonte: http://www.ilmessaggero.it/articolo_app.php?id=27965



http://www.agerecontra.it/public/press/?p=4070#more-4070